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La Storia
Il nostro booklet concepito da Franco Pavan
Un letto, due casse vecchie di noce, qualche sedia, pelli di cuoio, due quadri appesi alle pareti. E’ tutto ciò che possiede Giovanni Battista, il padre di Antonio Vivaldi, il 19 aprile 1733. In quella domenica un notaio si reca nella casa dei due musicisti, nella parrocchia veneziana di San Salvador, per scrivere un atto formale legato all’emancipatio di Antonio dal padre. Ma quei pochi beni sono solo i beni solidi, di breve durata. In quell’atto compare anche con quanta tenacia il figlio si prenda cura del padre e di tutta la sua famiglia, per il corso continuo d’anni vinti in circa. E continuerà a farlo: Giovanni Battista morirà il 14 maggio del 1736, infermo, ed obbligato al Letto da molto tempo. Quel letto che era stato suo, ma accolto nella casa di Antonio, di quel figlio che insieme al resto della famiglia, si era preso cura di lui anche negli anni più difficili. La cura: una delle caratteristiche migliori dell’animo umano, sempre più disattesa, sempre più negletta, dimenticata, offuscata da percorsi che guardano altrove. La cura che dovremmo avere per il lavoro di tutti, per il fare quotidiano, e quindi anche per le grandi opere che i maestri ci hanno lasciato. L’attenzione alle fonti, alla prassi, alle informazioni che ci giungono dal passato non è mai, oggi, uno sterile e vuoto esercizio di memoria. Rappresenta un formidabile esempio della cura che l’uomo può avere verso le cose più semplici e verso quelle più complesse, rappresenta il riconoscersi negli atti degli altri e vedersi servitori e quindi al tempo stesso interpreti del presente. Così, la scelta di registrare questo repertorio vive come un atto di cura: l’attenzione alle fonti, al loro significato, alla prassi, al gusto di un’epoca che ha tantissimo da dirci se non viene soffocata dal nostro ego, agli strumenti, agli archi utilizzati, tutto ci parla di un mondo che poi rende liberi, completamente liberi gli esecutori.
Le sonate per due violini, anco senza basso se piace, conservate nel volume 28 del Fondo Giordano della Biblioteca Universitaria di Torino e modernamente catalogate come RV 70, 71, 68, 77, rappresentano una delle innumerevoli vette della scrittura vivaldiana. Le prime tre sono segnate da Vivaldi come, rispettivamente, sonata prima, seconda e terza. L’ultima non possiede una numerazione propria. La tentazione di immaginare l’esistenza di almeno altre due sonate nella serie è forte, come sarebbe stata consuetudine all’epoca per giungere ad un ciclo composto da sei sonate. Anche le due sonate a tre per violino, liuto e basso conservate nel medesimo volume, segnate come sonata seconda e quinta, fanno immaginare la perdita di almeno altre quattro composizioni aventi lo stesso organico.
Grazie agli studi codicologici e di ordine stilistico gli studiosi hanno proposto per queste composizioni una datazione ca. 1730, che ha spinto ad immaginare ad una loro possibile esecuzione da parte di Antonio Vivaldi e di suo padre nel corso del loro viaggio in Europa centrale nel 1729-1730. Se l’ipotesi si rivela affascinante, faccio modestamente osservare che il livello virtuosistico di questi lavori poco si coniuga con quello che sappiamo delle capacità strumentali di Giovanni Battista, alle quali va ad aggiungersi la sua tarda età. In realtà non sappiamo se vi sia stata una commissione, o se Vivaldi abbia utilizzato questo materiale per esecuzioni private o più probabilmente in seno alla Pietà. Le certezze però ci giungono dalle carte che riportano questi capolavori. Innanzitutto la presenza di un basso ad libitum è straordinaria: si tratta in effetti di una linea che sovente si composta come basso seguente, che raddoppia le note più gravi espresse dai violini, e che è stato aggiunto probabilmente solo in un secondo momento dal compositore: è ad libitum a tutti gli effetti. Se si osservano poi le strutture formali possiamo osservare la presenza di un’architettura in tre tempi costante, all’interno della quale ogni movimento si sviluppa in forma bipartita: il richiamo alla forma del concerto è dunque evidentissimo e la forma bipartita è l’unico legame con la forma della sonata. Questi dati distinguono in maniera evidente l’approccio al duo senza basso da parte di Vivaldi rispetto ai lavori di alcuni suoi colleghi europei, principalmente Telemann, nelle Sonates sans basse del 1727, e Leclair, nelle Sonates à deux violons sans basse op. III del 1730.
Tutte le sonate sono in modo maggiore: RV 68 e 70 in fa maggiore, RV 71 è in sol maggiore e RV 77 è in si bemolle maggiore. Come di sovente accade i tempi centrali sono nel tono relativo minore, con l’eccezione di RV 71, che utilizza la mediante minore. Una chiara caratteristica strutturale di queste composizioni è la ripresa tematica nella seconda parte di ciascun movimento - con l’eccezione del Larghetto di RV 71 - in corrispondenza con il ritorno alla tonalità d’impianto, preceduta, come giustamente indica Cesare Fertonani, da una chiara cadenza ad una tonalità minore.
La scrittura di queste sonate, come dicevamo, e non solo la struttura, rimanda fortemente a quella del concerto e non è un caso che il materiale utilizzato per comporre il duo in sol maggiore RV 71 ricompaia nel doppio concerto per due violini RV 516, così come il Larghetto del duo in fa maggiore RV 70 appaia come una parafrasi del Cantabile del concerto per violino L’amoroso RV 271.
La paletta dei colori e delle modalità espressive utilizzata da Vivaldi in queste sonate è davvero impressionante: arpeggi, corde doppie, passaggi nel registro sovracuto, articolazioni estremamente complesse che richiedono una tecnica d’arco sopraffina, linee cantabili fiorite e da fiorire ulteriormente da parte dell’esecutore, alle quali si aggiunge un gusto di ancor più radicale cantabilità nei movimenti centrali. Qui la maestria di Vivaldi si spinge verso una sensibilità fatta di linee disarmanti nella loro semplicità ma tremendamente espressive, come solo i grandi compositori riescono a realizzare. Il compositore utilizza mezzi assai semplici come le terzine, le appoggiature, i ritmi lombardi - si veda ad esempio il Larghetto della sonata RV 70 - nel loro giusto dosaggio al fine di raggiungere la massima espressività: ed è anche in questi casi che l’esecutore deve ricordarsi di avere cura di ogni nota che il compositore gli mette a disposizione, dialogando con lui. Ma questo si può fare se si cerca di parlare lo stesso linguaggio, di comunicare, di avere cura, appunto, di quello che ci è stato lasciato in eredità, di quel vecchio letto e di quelle poche sedie.
Certo, è un caso. Ma colpisce che l’ultimo scritto autografo ad oggi conosciuto di Vivaldi, risalente al 28 giugno 1741, sia una ricevuta di pagamento di dodici ungari al conte di Collalto per tanta musica venditali. Si è supposto che si trattasse dei quindici concerti presenti presso la collezione dei Collalto conservata a Brtnice, oggi dispersa, ma testimoniata da un inventario manoscritto del 1752 circa sopravvissuto e oggi conservato presso il Moravské Muzeum di Brno. In quello stesso inventario troviamo le prime tracce del duetto, o per meglio dire, sonata per due violini di Andrea Zani, articolata in cinque movimenti. E non è un caso che Zani sia stato un compositore amantissimo della scrittura e dello stile di Vivaldi, tanto che si è giunti ad ipotizzare un periodo di studio svolto da Zani sotto la guida del musicista veneziano. Sia ben inteso, però: Zani si staglia come uno dei compositori di musica strumentale fra i più puri ed interessanti dell’Italia della prima metà del Settecento, originalissimo nella scrittura, aperto alle sperimentazioni e ancora però in gran parte da studiare ed eseguire. Il duetto, che possiede il numero 1 nel catalogo tematico di Cogliati-Galasso è suddiviso nei movimenti andate-allegro-allegro giusto-minuè—canone, è nella tonalità di impianto di mi bemolle maggiore, tranne il canone, in sol minore, ed è tramandato tramite tre fonti oggi conservate in Svezia. Il manoscritto considerato come riferimento principale è in possesso della Statens Musikbibliotek di Stoccolma, e faceva parte della collezione del barone Patrick Alströmer (1733-1804), violinista dilettante e grande collezionista di musica. L’intitolazione duetto deriva da questa fonte, mentre nel catalogo di Brtnice la composizione è chiaramente indicata come sonata. Come nelle composizioni di Vivaldi questi movimenti si presentano tutti in forma bipartita e anch’essi mostrano in alcuni casi una ripresa del materiale tematico d’apertura all’interno della sezione B, come è ad esempio ben evidente nell’allegro e nella straordinaria manipolazione della scrittura tramite anche un improvviso cambio di tempo nell’allegro giusto. Zani costruisce inoltre il colore delle sue composizioni utilizzando progressioni di grande efficacia e tutta la paletta espressiva già messa in campo da Vivaldi. La sua scrittura si avvale sovente anche di una grande propulsione ritmica, come è evidentissima negli incisi tematici dell’allegro e dell’allegro giusto, unita però sempre da una grande inventiva melodica, come possiamo particolarmente apprezzare nella sezione B del primo movimento. Tutti i movimenti, infine, non possiedono un basso ad libitum da suonare, indicandone la totale purezza del tramite sonoro. Anche su questo punto ci sarebbe molto da riflettere: la precisione d’intonazione che i due strumenti ad arco soli possono raggiungere sono notevolissime rispetto alla presenza di uno strumento realizzatore del basso, qualsiasi temperamento si decida di utilizzare.
Non sono molte le notizie sulla vita di Andrea Zani, ammiratore di Vivaldi, amico e sodale del grande Caldara a Vienna, attivo con passione e modestia nella sua Casalmaggiore. Morirà a 61 anni il 28 settembre 1757 per un’ idrope - un edema - “prodottagli da una caduta riportata nel rovesciamento del calesse, che lo portava a Mantova per affari di famiglia” dalla sua città natale, dove sarà sepolto alla presenza di un solo curato e dei confratelli della compagina di Santo Spirito. Un funerale modesto, come lo era stato quello di Vivaldi a Vienna il 28 luglio 1741, per il quale fu messa in conto anche una birra, chissà da chi, dovuta forse al caldo della giornata.
Fu Vivaldi a scrivere “Iddio vede, Iddio sà, Iddio giudica”, quasi tuonando. Ma sono certo che Iddio amerà la cura rivolta a quel vecchio letto, a quelle sedie, a quei quadri, a quel calesse che si rovesciò, a queste pagine così amorevolmente lette, e interpretate.